L'attività dell'artista si può dividere in sei periodi
I periodo: Monaco e Caravate (1905- 1913)
II periodo: Roma e Terracina (1914-1918)
III periodo: Positano (1918-1919)
IV periodo: Dormelletto (1920-1923)
V periodo: Sardegna (1921-1922)
VI periodo: Solcio (1923-1943)
Il caso di Siro Penagini è senz'altro singolare nella pittura italiana del primo 900. (…) È straordinario osservare l'eccezionale maturità di Penagini in quadri come "Primavera a Caravate" nel 1911 o come " Modelli al Sole" del 1914. Sono due opere dipinte rispettivamente a 26 e a 28 anni ma sono già opere perfette. (…) Nelle opere di Terracina e Positano tutto diventa più aspro, più libero, più immediato.
A Terracina dipinse le contadine nei costumi tradizionali senza indulgere né al folklore né all'esotismo, bensì con un senso schietto del primitivo… i pescatori e le loro donne, le reti distese, gli uomini all'osteria, i cavalli magri e sfiancati delle corriere. Sono tutti quadri di dimensioni piccole o non grandi in cui la pennellata si muove senza pentimenti facendo scattare i gialli abbaglianti, gli arancioni intensi, gli azzurri squillanti con un gusto che può soltanto far venire in mente qualche espressionista tedesco, qualche tela di Kirchner o di Schmit-Rottluff dipinta intorno al '10.
Ma queste osservazioni sono anche più appropriate se si rapportano alle nature morte che egli eseguì soprattutto a Positano, non potendo dipingere paesaggi a causa delle disposizioni di guerra. Quadri come la "Morena e il pesce" , "Pesce su foglia", "Tavola con zucche", "Fiori sulla Tavola" e parecchi altri ancora rimangono a mio avviso tra le opere più notevoli dipinte in Italia in questo periodo(…).
Già verso la fine del '19 egli tende ad attenuare il colore, ad ammansirlo sino a sospingerlo verso azzurri cenere, grigi lievissimi, verdi freddi e velati e in genere verso tonalità sommesse. Le Sogliole, la Zucca, i Cavolfiori sono tre opere esemplari nell'ambito di questa nuova inclinazione di Penagini e sono opere che si pongono tra la fine del '19 e il'22, cioè tra la conclusione del periodo di Positano, il periodo di Dormelletto, (quello cioè che può essere considerato il suo IV periodo) e infine il periodo della Sardegna, cioè il suo V periodo dal 1921 al 1922. Anche questa è una stagione fruttuosissima per Penagini, una stagione di sottili finezze, di stupendi momenti evocativi. Eppure è proprio a quest'epoca che egli si accosta al gruppo dei pittori milanesi, in particolare al Malerba, che sta meditando su di un'arte più costruita e più solida nella forma. Siamo insomma alle premesse del Novecentismo (…) Penagini in realtà non è mai stato un novecentista. Si prendano in esame tele come l' "Anatra" o il "Cavezzale" e ci si accorgerà che la sua pittura, come sempre, punta sull'acutezza piuttosto che sulla gravezza, più sulla concisione che sulla costruzione monumentale. (…)
Nel periodo di Solcio… non gli interessava più sapere cosa facevano gli altri, gli interessava soltanto riuscire a sigillare nel rettangolo della sua tela, per un miracolo di stile, il senso della sua mediazione sulla natura, sulla realtà del cielo e dell'acqua, sui monti che aveva di fronte, sugli alberi, sulle stagioni che passavano con mutevole volto sotto le sue finestre nei viottoli del suo orto o sull'erba selvaggia del suo podere.(…) Nascono così le sue tele più penetranti e più rare, quelle dove il linguaggio è affilato come il taglio di una lama. (…)
Mario De Micheli
1968
Vorrei che l'occhio del visitatore sensibile avvertisse la sottile proprietà del linguaggio pittorico che informa taluni quadri di Penagini, il ritmo puro di certi lineamenti, la giustezza di certe note.
Vorrei anche, che non gli sfuggisse la qualità del sentimento che li anima e che rivela un'anima raccolta, in cui l'arte può attingere il vigore di un'umanità brillante di emozioni naturali.
Enrico Somarè
...più vigilato, da questo punto di vista, è Siro Penagini, la pittura del quale può anzi sembrare fredda. Se però si osserva con attenzione ci si accorge che sotto quell'apparente freddezza vi è uno spirito caldo e appassionato.
Carlo Carrà
da "L'Ambrosiano" 20 giugno 1936
La pittura italiana alla XX Biennale di Venezia
Ricordiamo che Penagini fu il rappresentante dell'avanguardia di più che trent'anni fa. Fu lo scandalo di una Biennale di Brera, ripetiamo trent'anni fa, per avere esposto una grande composizione alla Gauguin che non ebbe come difensore che il nostro amico Raffaello Giolli.
Aldo Carpi, "Il giornale dell'arte", Milano, 15 luglio 1946
…si desume dalle opere che Siro Penagini dipinse almeno dal 1913 e negli successivi, che, più che dalle Secessioni fu attratto dalla pittura del gruppo di Pont-Aven, assumendone le lineature e le campiture da smalto e la colorazione di toni puri, sempre mantenendo un'indipendenza di visione e di scelta ritmica e cromatica, come mostrano le composizioni di figure.(…)
Questa pittura diretta, splendente, di una consapevolezza di espressione e di gusto così raramente temperata, costituisce un episodio di reale validità poetica nella pittura contemporanea, nella quale tuttavia non incise, rendendo isolata questa esperienza personale e feconda.
Leonardo Borgese, prefazione alla mostra di Milano, 1965
Tra le numerose piccole mostre postume - ossia <omaggi> - allestite dalla IX Quadriennale romana attira più che altre quella di Siro Penagini. Come suppergiù potemmo scrivere nel 1957 - quando la Permanente gli dedicava una grande postuma, con monografia di Guido L. Luzzatto e Vincenzo Costantini - Penagini dopo aver studiato a Brera e all'accademia di Monaco preferì tuttavia definirsi autodidatta: nel senso che trovò bene sé stesso fuori dalle scuole d'arte italiane e tedesche e fuori dalle avanguardie italiane francesi tedesche che pure conosceva assai bene.
Anche quando parve uno dell'avanguardia francese (paesaggi alla Cezanne) oppure di quella tedesca (sintesi e ritmi alla Secession, simili al casoratiano, poi impressionismo monocense, simile allo spadiniano). Questo malinconico ma dignitoso, ma riservato, ma difficile romantico, resta sempre un antico: nel senso di dar l'idea che in tutta l'opera voglia imporsi un ordine superiore, istintivo, quasi ispirato, ordine superiore conforto e speranza, ispirato da quella disperazione, da quel pessimismo che soli possono guidare lungo la via dell'arte e del sublime.
Leonardo Borgese
"Mostre d'arte", Corriere della Sera
7 dicembre 1965
Siro Penagini s'inoltra nel primo dopoguerra europeo con un atteggiamento e una pittura coerenti alle prima esperienza, e, come dimostrano le opere scelte per questa mostra, non viene meno la sua capacità di visione liricamente calda ed espansiva. La cronaca culturale del tempo, peraltro, ha presa anche su di lui, e nella memoria dei più - prima della giusta rievocazione del Borgese - resteranno opere di grande probità e non prive di afflati, ma dove l'artista risente il peso di alcune convenzioni struttive, compositive e chiaroscurali che vincolano la vena originale di rigogliosa e raffinata stesura cromatica. Appartatosi, Penagini coltivò ancora a lungo la pittura, in una crescente tendenza all'umiltà consapevole e riverente di fronte al miracolo del mondo visivo, rispetto alla quale la sua prima fase dovette rappresentare un ricordo appassionato e luminoso.
Carlo Ludovico Ragghianti
1967, Arte moderna in Italia
1915-1935 Firenze, Palazzo Strozzi
…nel 1927 Emilio Zanzi scrive su "Emporium", ricordando la Quadriennale torinese del 1919, che nella "sala polemica" dei giovani di allora venisse "forse inconsapevolmente" iniziato dal Penagini, dal Carpi, dal Casorati, dal gruppetto dei veronesi e dai debuttanti Menzio, Sobrero e Chessa quel movimento che doveva poi essere chiamato "novecento".
Marilena Pasquali
Galleria d'arte Moderna di Bologna, 1980
"La metafisica: gli anni venti"
Siro Penagini è stato un artista singolare… Non sono mancati in tempi recenti interventi importanti come quello di Mario De Micheli (1968, 1985), Raffaele De Grada (1983,1984) e Rossana Bossaglia (1987), a cui bisognerebbe aggiungere il commosso articolo di Giovanni Testori (1985) …
Penagini è stato uno dei pochi Nabis italiani, uno dei rari seguaci che Gauguin e il sintetismo hanno avuto in Italia. Ma la sua formazione, a differenza di quella poniamo di un Gino Rossi, non è avvenuta in Francia: è avvenuta a Monaco (…)
Nei due primi decenni del suo percorso espressivo, Penagini ha interpretato la natura soprattutto come sogno: un sogno di superba seduzione, forza, energia, ma pur sempre un sogno. (…)
La bellezza luminosa di un corpo, o di un fiore, sono solo miraggi: e del miraggio possiedono tutto l'incanto e tutta l'irrealtà.
Uno stesso sentimento anima le opere dipinte a Positano… è sempre viva in Penagini la meraviglia di fronte alla natura: ogni cosa gli si presenta come un evento,come un'apparizione. (…)
Non bisogna pensare, però, che la pittura di Penagini abbia come unico tema una liricità pervasa di significati filosofici. All'esplosioni di colore, alle apparenze e alle apparizioni, l'artista affianca un suo ciclo dei vinti, o comunque degli umili. Sono le figure di vendemmiatori, di zappatori, di lavandaie, di pastori, di marinai, di pescatori e di portatrici d'acqua che si ritrovano soprattutto nel periodo di Terracina e della Sardegna, ma ritorneranno sempre, a intervalli, in tutto il suo lavoro: a testimonianza del fatto che Penagini è attento non solo al "paradiso provvisorio" della natura, ma anche alla fatica della vita quotidiana. (…)
Rientrato a Milano nel 1920 (dove la sua presenza alla biennale di Brera del 1916 l'aveva fatto notare e conoscere, sia pure tra discussioni e polemiche), partecipa in aprile all'importante collettiva alla galleria "Arte": una mostra organizzata da Mario Buggelli, e ampiamente recensita da Margherita Sarfatti, che rappresenta uno dei principali antefatti del nascente "Novecento".(…)
Elena Pontiggia
Galleria d'arte antologica, Monza
Galleria d'arte, Bergamo
1995